Miele e birra

Possiamo usare il miele in molti modi ma spesso viene sottovalutato l’aspetto qualitativo di questo particolare prodotto. Siamo ormai abituati a trovarlo sugli scaffali e ci limitiamo a confrontare il prezzo senza dare troppo peso ad altri fattori. Io lo uso con il tè e trovo che sia un ottimo sostituto dello zucchero perché dolcifica senza coprire i sapori. Un giorno, proprio mentre mescolavo una tazza di tè verde, mi sono chiesto se fosse possibile utilizzare il miele nel processo di produzione della birra artigianale.

Di solito la materia prima scelta per la rifermentazione in bottiglia è lo zucchero perché ci evita la complicazione rappresentata dalla conservazione e successivo utilizzo del mosto (ne parleremo meglio in futuro). Infatti, dopo la normale fermentazione, dovremmo imbottigliare creando i presupposti per una corretta conservazione. Questa è garantita dall’utilizzo del luppolo ma anche dall’anidride carbonica che è presente nella bottiglia in forma gassosa, vicino al tappo, e disciolta nella birra stessa. Ci sono vari metodi per inserire l’anidride carbonica ma quella che io preferisco al momento è la carbonatazione naturale. Con questo metodo, sfruttiamo la naturale produzione di gas da parte dei lieviti e lo intrappoliamo nella bottiglia tappata. Di solito si parla di circa 5 grammi di zucchero per ogni litro di mosto anche se la quantità può cambiare in relazione alle temperature di fermentazione.

Seguendo i principi descritti nell’articolo Il quarto livello di birrosità, sarebbe interessante sostituire lo zucchero, usato nella maggior parte delle ricette, con un prodotto meno lavorato come il miele. Dal punto di vista economico è un peggioramento ma dobbiamo considerare anche altri fattori. Possiamo valorizzare le materie prime comunicando altri aspetti positivi intrinseci come la mancanza di additivi, la provenienza locale, il fatto di evitare complicati processi di raffinazione ed eventuali certificati di provenienza o prodotto biologico.

Con queste premesse, mi sono messo alla ricerca di qualche produttore locale ed l’ho trovato a 750 metri da casa: l’Apicoltura Raggi di Sole di Franco Troiani. Una mattina sono andato a farci due chiacchiere ed ho colto l’occasione per immergermi un po’ nel suo mondo.

I favi sono posizionati sulle montagne intorno al paese e il miele viene prodotto con il semplice utilizzo di una centrifuga. Le api fanno tutto il lavoro e non si fa altro che mettere il miele nel barattolo; meno lavorato di cosi non si può trovare. Ma oltre ai vari tipi di miele c’è un mondo sconfinato fatto di cera, pappa reale, polline e tutti i prodotti realizzati con queste materie prime. Qui non parliamo di un miele qualsiasi, ma di un presidio slow food praticamente a chilometro zero e tutto questo ha un valore che, a mio parere, supera l’aspetto economico.

Produrre miele può sembrare semplice o addirittura noioso invece capita anche di poter raccontare qualcosa di particolare. Infatti durante l’inverno un orso marsicano ha danneggiato parte delle arnie mangiando miele ed api. A quanto pare quell’inverno fu mite e questo particolare orso ha interrotto il letargo per fare un dolce spuntino. E’ stato simpatico vedere come Franco abbia posto l’accento sull’indiretto incontro con un orso più che sui danni ricevuti. Tutta questa storia mi sembra un buon esempio per capire come produzioni di questo tipo ti spingano a pensare in modo diverso e più compatibile con la terra che abitiamo. Andate sul sito se volete approfondire la storia.

Mentre parlavo con Franco, pensavo che potevo usare il suo prodotto come sostituto dello zucchero nella rifermentazione o addirittura in aggiunta al mosto per avere sapori diversi. Ci lavorerò su ma nel mentre ho deciso di prendere una confezione di miele millefiori ed una di pappa reale. Il miele l’ho trovato profumato e meno aggressivo rispetto ad altri che avevo provato mentre la pappa reale per me è stata una gradita novità carica d’energia.

Tuttavia l’utilizzo del miele nel processo di produzione della birra artigianale comporta un paio di accortezze che non possiamo dimenticare. Primo, aumentare la dose al litro del 20-30% per controbilanciare l’eventuale presenza di zuccheri complessi che i lieviti commerciali non sono abituati a demolire (aspetto da controllare con test). Secondo, dobbiamo scaldare il miele alla temperatura di 78°-80°C per eliminare eventuali batteri e lieviti selvaggi. Questo secondo passaggio ci fa perdere gran parte dei profumi presenti nel miele stesso e, per questo motivo, bisogna trovare il giusto miele da utilizzare per la rifermentazione. Non serve che sia particolarmente profumato ma solo che sia prodotto con un processo semplice e che sia di provenienza locale.

E cosi, finito l’incontro, vado via con la sensazione di aver fatto un’ulteriore passo avanti nella nostra ricerca della Birra Perfetta. L’all grain di cui abbiamo discusso in Il quarto livello di birrosità, dovrebbe rifermentare con l’aiuto di un miele semplice ma di produzione locale e bisogna segnalarlo nell’etichetta aprendo la porta a interessanti collaborazioni.

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